7) La chiave

"The meaning of life is to find your gift. The purpose of life is to give it away."
(Pablo Picasso)

- 212.

Oggi è una splendida giornata.
Sembra estate, il sole è più caldo. E io sto andando a lavoro con qualcosa di nuovo nello stereo della macchina.
Dato che non ho molto tempo per leggere oltre alla sera, e che voglio farmi una cultura adeguata sui grandi classici dello studio teatrale, e che voglio soprattutto ascoltare qualcuno che li sappia leggere, ho comprato una serie di audiolibri che hanno titoli del tipo Nome Famoso legge Testo Famoso.

Mi accende i sensi, soprattutto, l'idea di tornare bambina in fermento che ascolta leggere i grandi. Non ho mai dimenticato come ci si sente.

C'è anche qualcosa di più di questo, però.

C'è una cosa che non puoi fare se non sei un attore, ed è interpretare, ovvero far comprendere anche quello che non è scritto. Il sottotesto. L'anima.
È un mestiere, come un altro. Non si improvvisa. Gli insegnanti delle scuole dell'obbligo non hanno studiato recitazione o teatro, hanno ricevuto una formazione d'altro genere in prevalenza, per cui siamo tutti cresciuti abituati a leggere e ad ascoltare senza capire. O senza godere, a prescindere dal significato.

C'è anche gente che ama la poesia, o l'arte moderna, e ognuno ama quello che gli pare, voglio dire, il punto è che è in grado di amarla pur non capendola. Pensiamo a Lucio Fontana e alle sue tele squarciate, ai dipinti emblematici e le forme geometriche di Kazimir Malevič, o a opere provocatorie come i barattoli di "Merda d'artista" di Piero Manzoni. Un attore e insegnante di teatro che ho conosciuto tanto tempo fa avrebbe detto Non chiedetevi "...ma il pubblico avrà capito?", chiedetevi piuttosto "...ma il pubblico avrà gradito?".

Ora, io ho una mente abbastanza razionale e, purtroppo, sono una di quelle che se non capisce, non gradisce. Di solito. Eppure, riconosco che, seppur preda di ignoranza, se qualcuno è in grado di leggermi qualcosa al punto da tenermi lì attaccata e meravigliata e incuriosita e incantata come è in grado di fare solo un abile affabulatore, o un bravo attore, alla fine non posso non amarla.

Questi Grandi qui, accade che, quando leggono, rivelano. E all'improvviso tu vedi. Comprendi, ti emozioni, conosci, ti addentri, e il testo ti si propaga dentro, c'è uno scambio, e tu apri, e poi scoperchi, e allora spalanchi e non ti basta e loro hanno la chiave, la chiave, quella che apre tutte le porte. Senza bisogno di chiederlo, ti ci accompagnano in quelle stanze, che tu intuisci, e percepisci, e fiuti, ma non afferri mai, e, quando sei lì lì per spiegarti, ecco che ti ripieghi e sei come una piuma nel vento, una piuma trasportata dal loro fiato, soffiato, non sai dove finirai, ma il fine è il percorso, il volo, l'abbandono, il viaggio. Non la destinazione.

Si tratta di un totale atto di fiducia, per chi ascolta. Nel suono, nell'onomatopea, nella sfumatura delle parole, nella forma, nel respiro, nel senso. Sia semantico che fisico. Anche quando il significato non c'è, o meglio è nell'esperienza stessa, l'esposizione emotiva in sé (come accade per la poesia). Ma soprattutto quando c'è, e tu non l'avevi mai compreso fino a quel giorno, quell'istante in cui all'improvviso scatta la rivelazione e ti si apre qualcosa dentro.

Ma che ne sa uno a sedici anni? Da grandi, la letteratura ha un altro valore. Leggili ora i Promessi Sposi. O Il Piccolo Principe. O Moby Dick, o Dickens. O meglio, ascoltali. Da chi sa leggerli.

È un totale atto di amore, per chi lo fa.
Ci sono dei casi in cui ci si può esporre. Non succede niente.

E così mi ritrovo a scoprire che, mentre Giulietta in realtà ha solo tredici anni e mezzo e Romeo gli ormoni in subbuglio data l'età sgarzolina di entrambi, Amleto non tiene in mano nessun teschio nel soliloquio più famoso del dramma, si tratta di due scene diverse, e che Otello è nero, e che io non potrei mai essere una Desdemona convincente, e che Sogno di una notte di mezza estate parla di due coppie di giovani innamorati costretti a fuggire attraverso un bosco regno di fate pieno di mistero e insidie, dove si intrecciano le storie di altri mille mila personaggi, e che il meraviglioso monologo "Non ha occhi un ebreo? Non ha mani, organi, statura, sensi, affetti, passioni?" è del Mercante di Venezia, e che è Lady Macbeth la vera stronza, ma le manca il coraggio "Cancellate il mio sesso e succhiate il mio latte in cambio di fiele. Riempitemi dalla corona ai piedi della più cieca crudeltà"; e che le espressioni "molto rumore per nulla" e "tutto è bene quel che finisce bene" hanno origine dalle omonime commedie shakespeariane; e che all'improvviso mi è chiaro il termine "pirandelliano" e che la Patente di Rosario Chiarchiaro non ha nulla a che vedere con la guida sulla strada ma con l'esercizio legale di una professione da jettatore, mentre un trenino lento e sgangherato riporta su per le Marche una donna sconvolta per l'imminente inaspettata partenza del figlio per il fronte allo scoppio della prima guerra mondiale.
Trenino che non è lento e sgangherato, ma è lento. E inizi a sentire che non arriva mai. E, per di più, sgangherato. E nelle orecchie senti i cigolii di una carrozza traballante che ha i bulloni allentati.
Ché i grandi autori non scelgono le parole a caso.

A scuola mi chiedevo sempre se tutti quei significati che si tiravano fuori gli insegnanti glieli davano loro o erano reali, voluti dall'autore. Un tizio (un genio?) che si sarebbe divertito a disseminare il suo territorio di indizi, quattro sensi diversi a parola, dodici sottotesti, per veicolare con astuzia le nostre emozioni con la lucidità di un chirurgo della psiche.

Non mi sono mai risposta, a dire la verità. Ma tutto sommato, penso oggi, se poi torna, se funziona, che differenza fa?

Non so perché non ho mai pensato di approfondire questo tipo di letture. Forse le trovavo difficili, o mi ricordavano gli obblighi scolastici.
Poi, a un certo punto, succede che arriva Benigni, spiega la Divina Commedia che neanche Dante, e tutti si innamorano. E vorresti aver letto tutto l'archivio letterario del mondo, con la stessa consapevolezza, capendolo, possedendone una autentica chiave di comprensione, apprezzandolo con lucidità e contemporaneamente godendone come un pazzo.

Ora, Shakespeare e Pirandello sono soltanto l'inizio, la punt(in)a dell'iceberg. A settembre partiremo con recitazione, e mi piacerebbe tanto avere accesso a una specie di bibliografia indicata per chi parte da zero e vuole studiare Teatro.
Lo so che sono cose che si hanno dentro o non si hanno, o c'è un vissuto o non c'è ed è come essere un alieno che chiede a un terrestre "che film guardare" per comprendere il Cinema.

Beh, io comunque gli risponderei. Partendo dalle cose che non si può non aver visto per definirsi terrestri. Casablanca. L'attimo fuggente. Pinocchio, di Comencini.
Poi gli tirerei fuori Nuovo Cinema Paradiso, così, per fargli comprendere tutto quello che resta da sapere sull'argomento. La Leggenda del Pianista sull'Oceano. E poi Il Gladiatore, e Forrest Gump, per dargli nozioni di storia antica e moderna, e mostrargli due modi diversi di essere eroi. E poi sarei curiosa di vedere lo stesso sbigottimento per L'arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat e Titanic.
A questo punto, dovremmo iniziare a far le cose per bene, qualora l'allievo si fosse dimostrato curioso, e dividere per generi, no? Animazione, avventura, drammatico, horror, biografico, comico, politico, fantascienza, documentario, romantico, e pensare al miglior film per ognuno. Poi dividere per autore, per stili, da Spielberg a Tarantino, da Burton a Lynch, e poi Hitchcock, Leone, Fellini, Woody Allen, Polanski, Ėjzenštejn, Welles, Visconti, Stone, Antonioni, Kubrick, Cameron, Coppola, Scorsese, Bertolucci, Kurosawa, De Sica, Lee, Bergman, Monicelli, Tornatore, Truffaut, Godard, Özpetek, Nolan, Buñuel, Scott, Salvatores, Almodóvar, Eastwood, Rossellini. E pensare di nuovo al miglior film per ognuno. E credo che sarebbe dovuta anche una distinzione fra correnti, dal cinema narrativo a quello muto, dalle avanguardie europee al cinema classico, da Hollywood al cinema tedesco, russo, giapponese, dal neorealismo del dopoguerra, Ladri di biciclette, al cinema digitale, 2012.
Insomma, già questo aiuterebbe, no? Farebbe impazzire me nella scelta, e sarebbe in ogni caso una selezione parziale, ma anche qualcosa da cui partire. Perché, di un banale manuale di storia del cinema, un alieno che se ne fa? La teoria serve a poco senza l'esperienza sensoriale diretta. E qualcuno in grado di aiutarti a comprendere attraverso la sfera emotiva. L'unica che solca la memoria.
Poi, se l'alieno avesse solo cinque minuti a disposizione prima di dover tornare in orbita e mi chiedesse di raccontargli che cosa vuol dire essere uomini sulla Terra, sceglierei la musica, e gli farei ascoltare Avrai, di Claudio Baglioni. E finita lì.

Sul Teatro, che si può dire?
Confido in una brava insegnante terrestre.

Londra. Cattedrale di St. Stephen's. Passeggiando per strada, al sole.

Sono stata a Londra.

Ecco, me ne stavo lì a chiedermi come diavolo avessero potuto girare certe scene, io amante dei contenuti extra di tutti i DVD esistenti nella storia e fan iscritta al canale MakingOf.com

E se su di un set si fanno magie, che magie si sarebbero potute fare sul set di magia per eccellenza?

Così, innamorata della Rowling, del suo stile immediato e visionario e del suo mondo di creature a parte, decido di prendermi un paio di giorni di ferie per andare a visitare gli studi di produzione di Harry Potter. Cioè, dico, prendo su e vado sul set, proprio. E poi vado anche a teatro a vedere il musical originale di The Lion King. Mi faccio un triplice regalo, così.

Su quest'ultimo e sulla bellezza di certi angoli di Londra, soprattutto di sera, non vi svelo nulla. Si tratta di un livello di suggestione che è percepibile solo sul posto. Io ero da sola, un tutt'uno con me stessa e con gli occhi commossi sugli applausi, sui brani fedeli al film della Disney, compresi i pezzi strumentali di Hans Zimmer. Costumi, attori e coreografie che pensi che non ci arriverai mai a fare teatro come lo fanno loro, ma che imparare imbevendosi, assimilando, penetrandoli e consumandoli fino a sfibrare loro l'anima è un ottimo punto di partenza. Una sorta di cannibalismo intellettuale e godimento emotivo in un colpo solo. Di quei momenti che non c'è nessun altro posto dove vorresti essere.

Per quanto riguarda gli studi di produzione di Harry Potter, invece, ovvero il Warner Bros. Studio Tour London - The Making of Harry Potter, ho qualcosa da dire. Qualcosa che mi ha lasciato come mai mi sarei aspettata, e che posso riassumere in una conclusione inattesa: non tutto va spiegato, va a finire.
Il cinema non lascia spazio all'immaginazione, come fanno invece teatro e letteratura, e tu ci devi credere a quelle immagini, ci devi credere a quelle magie, senza rivelazioni che hanno a che fare con fondali verdi fosforescenti o chroma key.
È stata un'emozione fortissima, non fraintendetemi, soprattutto vedere da vicino la ricostruzione degli esterni e degli interni (che però non avevano mai la quarta parete - non chiedetemi perché una ci rimane male anche se lo sapeva già), la perfezione delle sculture di cera, e di tutta l'oggettistica, dalla coppa del Torneo Tremaghi al boccino d'oro, dai bauli agli Horcrux, da Diagon Alley a Privet Drive, dal treno al Castello di Hogwarts, e naturalmente la Sala Grande... Cioè, è stato come far parte del set, cosa che avevo desiderato da mai, ma nello stesso tempo, non so perché, ne sono uscita turbata, disillusa, come se qualcuno mi avesse ricordato che Babbo Natale non esiste.
E niente. La verità è che su un set non si fanno magie, si fanno giochi di prestigio. Quale novità.

Non mi godrò più il cinema da dentro, quello che ho scoperto davvero è che voglio continuare a godermelo da fuori, con un certo grado di rispetto. Parafrasando una celebre frase di Osho, se ami un fiore non coglierlo, lascialo vivere. Se lo raccogli, morirà e cesserà di essere ciò che amavi. Ecco, fare doppiaggio è una cosa che ti consente di far parte del cinema senza spezzarne la magia, in qualche modo. È un modo di dare acqua alle piante.

Il cinema non è letteratura e non è teatro. Non vive di immaginazione, ma di fiducia in quello che vedi. E quello che vedi è sufficiente. Non puoi tradire quella fiducia, o vedrai tutto in mutande.

Mentre chiudevo gli occhi, sul pullman di ritorno, pensavo che il giorno dopo avrei avuto un aereo che mi avrebbe riportato alla mia fredda grigia realtà aziendale quotidiana.
E a quanto sia distante la mia vita da me in questo momento.
Ma non per molto, ancora.
La canzone di quella sera: Giudizi universali, di Samuele Bersani.

Continuo a studiare la pronuncia delle vocali, e finite le E, mi aspettano le O.
Sto snaturando la parlata (le persone mi guardano male quando non ridono), ho perso altri 0.8kg e, insomma, anche se lento e sgangherato, inizio a vedere il cambiamento. Sono un bozzolo, un essere in transizione, un embrione informe, e son contenta.

Un giorno mi piacerebbe esser capace di dare anch'io quello che ho ricevuto dagli attori. Che non ha avuto senso ricevere, altrimenti.

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6 risposte a “7) La chiave”

  1. Solitamente faccio così: ti ascolto (mentre lavoro) e intanto faccio altro, e la tua voce in realtà mi tiene soprattutto compagnia, come musica nelle orecchie. Poi torno indietro, e leggo. E allora capisco e davvero mi immergo nel contenuto.

    Io, comunque, ho sempre pensato che non fosse vero niente quello che dicevano i professori, che tutto quel dividere in logaritmi difficilissimi la poesia rendendola geometria letteraria fosse una loro invenzione per non farci piacere il contenuto, o per sviare l’attenzione del fatto che non avevano (alle volte.. non sempre) voglia di spiegarlo. Oggi va così. Ho il pessimismo cosmico. 🙂

    Buona giornata

  2. In effetti facevano di tutto per non farcela piacere, vero? Oppure erano i primi loro a non aver avuto gli insegnanti giusti. Nel mondo degli attori, nel mondo di chi sa leggere, magicamente smetti di farti domande, di chiederti chi ha ragione, chiudi gli occhi godi e basta. Capisci, ti emozioni, voli con loro. Come quando eri piccola e ascoltavi le storie, senza fronzoli razionali.
    Se ascolti il Piccolo Principe letto da Bruno Alessandro, tanto per dirne una, capisci perché lo considerano un capolavoro mondiale della letteratura.
    Il pessimismo cosmico ha di bello che puoi solo ricevere sorprese 🙂
    Grazie per ascoltarmi e leggermi insieme. =,} Oltre al fatto che non ti fermi mai alla superficie, “mi fai compagnia” è una delle frasi più belle che mi abbiano mai detto.

  3. È estremamente piacevole prendersi una pausa ed ascoltare le *tue* parole 🙂
    Attendo felicemente il prossimo appuntamentino con la tua voce ^^

    1. Sei tu e tutti gli altri a rendere questa cosa reale. Per me è fantastico sapere che c’è qualcuno che mi ascolta e si emoziona con me. Questo scambio è bellissimo, non sapevo così tanto. Grazie

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