33) Come il mare

"Ma poi mi domando: se metto a tacere il mio inquieto desiderare, il mio sovreccitato fervore e questa mia natura stupidamente affamata - che cosa farò allora della mia energia?
Ecco la risposta della guru: Cerca Dio. Cerca Dio come un uomo con la testa in fiamme cerca l'acqua."
(Elizabeth Gilbert, Mangia, prega, ama - Una donna cerca la felicità, 2006)

- 30.

Una chiave antica nella mia mano.

Non ho mai saputo cosa aprisse questa chiave.
Non l'ho mai saputo fino a quel giorno in cui mio nonno mi confidò che senza di lei io non sarei nemmeno stata al mondo.
Lui l'aveva lasciata a mia nonna in custodia prima di partire per la guerra, dicendole che le avrebbe svelato che cosa aprisse, ma che lei avrebbe dovuto aspettare il suo ritorno.
Lei si fece promettere in cambio di tornare.

Lui ha raccontato sempre che è tornato a casa grazie a quella chiave.
Poi è andato a prendersi mia nonna, l'ha portata sulla soglia di quella casa che, in segreto, aveva comprato per loro prima di partire, l'ha usata per aprirne il portone e su quella soglia le ha chiesto di sposarlo.

I paesi piccoli non lo fanno apposta ma non sanno mantenere i segreti.
Mia nonna non disse mai che sapeva. Non avrebbe mai tolto all'uomo che amava il piacere della sorpresa, né un motivo qualunque per tornare.

Quando mia madre sposò mio padre, ebbe la chiave in dono come simbolo di fedeltà, prosperità e amore. E oggi, nel giorno del mio matrimonio, la stringo a mia volta fra le mani mentre penso che è un po' come se mio nonno mi stesse accompagnando all'altare insieme a mio padre.

 

Vi deluderò magari nel dirvi che questa è una storia inventata, un esercizio fra gli altri di scrittura creativa. Ma è un dettaglio di poco conto, alla fine. C'è un motivo per cui l'ho riportata qui. Ed è che prima di lei, prima del mio racconto, quella chiave lassù era soltanto una chiave, un oggetto, una cosa qualunque. Dopo il racconto, è probabile che abbia assunto un valore nuovo, autentico, affettivo, storico, personale. Non è vero?

Ci sono cose che a prima vista ci sembrano di banale interesse, come un'opera d'arte moderna particolare, come respirare, o camminare sulle proprie gambe, come le saghe fantasy dei videogiochi, o una preghiera in un momento di inquietudine.

L'inquietudine è quella cosa per cui, anche se tutto va bene, ti sembra sempre che ci sia qualcosa che manca. E a volte ti viene proprio voglia di riposarti, di non essere al mondo. Oppure di esserci, ma in tutt'altra forma, in un altro modo.

Ho sempre pensato di essere l'unica a soffrirne, è una cosa che ti fa angustiare. Finché ho realizzato che l'inquietudine ce l'hanno tutti, chi più chi meno, fa proprio parte del nostro essere umani. Gli animali non hanno inquietudine, voglio dire, possono essere profondamente tristi o malinconici, ma non inquieti, se non in arrivo di una qualche calamità naturale. Insomma, avrebbero comunque un motivo concreto, nel caso. L'uomo è l'unico animale che può essere inquieto sempre, senza motivo. È l'unico animale in grado di fare pensieri astratti, e questo lo frega. Nel peggiore dei casi, la sensazione che ti prende è quella che non potrai mai essere veramente felice perché l'inquietudine fa parte di te e ne farà parte sempre, per tua stessa natura. E ognuno l'inquietudine la batte come può. C'è chi usa lo sport, chi l'alcol, chi la droga, chi il sesso, chi il viaggio, chi la danza, la poesia, chi l'amore, i figli, la preghiera, il cibo, i cavalli, l'autoironia.
Gli artisti sono gli inquieti per eccellenza, cercano di compensare attraverso i loro quadri, le loro performance, le loro creazioni.

Io uso la musica, il ballo, il cinema, cammino all'aperto, oppure mi metto a leggere, o a scrivere, quando mi sento così, ma, a differenza di questi metodi che amo e che funzionano - seppur legati a istanze esterne che tendono a esaurirsi come le batterie, ho sperimentato la preghiera, come metodo interiore nomade inesauribile (al massimo succede che ti addormenti, voglio dire) e che sposta le montagne.
E non solo quelle che ci stanno dentro, ma quelle che ci stanno fuori.
La preghiera è conforto, è amore, è arma, è forza, è vita.

Quest'ultima frase per voi probabilmente ha la stessa valenza di quella chiave lassù, è soltanto un oggetto, una cosa vuota, una cantilena. Ma se ne conosceste il significato, un po' come dopo il racconto della chiave, ne apprendereste un valore nuovo, autentico, affettivo, storico, personale.

Non sono qui a convincervi di questo, sono qui a dire che ci sono cose che a prima vista ci sembrano inutili o di banale interesse perché non le conosciamo. E quando non conosciamo qualcosa, o la temiamo, o pensiamo che non ci riguardi, cioè ci poniamo d'istinto su un piano di indifferenza e anaffettività. Quando non di pregiudizio.
E di fronte alla rabbia, alla tristezza, o all'inquietudine di un momento sbagliato, se qualcuno ci consiglia di PREGARE, noi preghiamo lui di eclissarsi, proprio, di sparire da davanti, ma per favore!

Eppure il consiglio avrebbe senso, alla pari di chi pratica la meditazione, per esempio.

"Prayer is not an old woman's idle amusement. Properly understood and applied, it is the most potent instrument of action."
(Mahatma Gandhi)

Questa esperienza lenitiva e analgesica, per alcune persone, risulta essere più comprensibile della preghiera, ma la meditazione sta al buddhista come la preghiera sta al cristiano. Solo che al posto di recitare il Mantra OM, si recita un discorso intero, e non ci si rivolge a sé stessi, ma a qualcun altro. Non solo si ascolta Dio, ma si parla con lui.
E, solo se lo si fa col cuore - e per farlo col cuore bisogna aver ricevuto il dono di un'illuminazione come dopo l'esperienza di racconto dell'emblematica chiave lassù per cui qualcosa è scattato dentro di noi e adesso ha un valore nuovo rispetto a quando non ce l'aveva affatto, accade qualcosa di magico, di medicante, che è così difficile da spiegare a parole che nessuno ci prova mai. Nessuno tranne una persona, Liz Gilbert nel suo celeberrimo Mangia, Prega, Ama (2006), seppure lei parli di meditazione e non di preghiera in senso cristiano: chiamala come vuoi, il come ci si sente, voglio dire, l'esperienza spirituale in genere, quando sentita con ogni fibra del proprio corpo e della propria mente, si equivale. E io oggi vi riporto quello che lei scrive e che non avrei saputo dire in altro modo:

"Per dirla con semplicità, sono stata attirata nel cunicolo dell'Assoluto, e in quella corsa precipitosa ho capito fino in fondo i meccanismi dell'universo. Ho lasciato il mio corpo, ho lasciato l'ashram, ho lasciato il pianeta, sono passata attraverso il tempo, e sono entrata nel vuoto. Ero all'interno del vuoto, ma ero anche il vuoto, e guardavo il vuoto, tutto contemporaneamente. Il vuoto era uno spazio di pace e saggezza illimitate. Il vuoto era conscio e intelligente. Il vuoto era Dio, il che vuol dire che io ero dentro Dio. (...) Ero un minuscolo pezzo dell'universo ma ero grande come l'universo. ("Tutti sanno che la goccia diventa una cosa sola con l'oceano, ma pochi sanno che l'oceano diventa una cosa sola con la goccia" ha scritto il saggio Kabir - e adesso posso dire che è vero.)
Non era una esperienza di carattere allucinatorio. Era qualcosa di primordiale. Era il paradiso, sì. Era l'amore più profondo che avessi mai provato, oltre l'immaginabile. Ma non era euforizzante. Non era eccitante. Non c'erano più in me egoismo e passione sufficienti a rendermi eccitata o euforica. Era semplicemente ovvio. Come quando guardi un'immagine che contiene un'illusione ottica, sforzandoti di capire qual è il trucco, poi d'un tratto riconosci il disegno nascosto: i due vasi sono in realtà due facce! E una volta che l'hai visto, non puoi più non vederlo."
(Elizabeth Gilbert, Mangia, prega, ama - Una donna cerca la felicità, Rizzoli, 2010, p. 225-226)

Quello che sto cercando di dire, è che io di inquietudine me ne intendo, ci sono nata e ci morirò. E l'unica cosa in grado di sanare i miei più profondi momenti di inquietudine e di paura è la preghiera. Perché è un momento di dialogo in cui arriva un improvviso clamoroso abbraccio da non sai dove, e poi arrivano soluzioni, e risposte, e non solo in testa, risposte dall'esterno. Voglio dire, concrete.
Come all'orfanotrofio dei bambini di Medjugorje (struttura nella quale dovreste cercarmi se mai decidessi di sparire una volta per tutte da questa parte di mondo), dove, per usare le parole di Suor Kornelia, manca lo zucchero? Dopo mezz'ora cinquanta chili di zucchero; deve arrivare un bambino abbandonato neonato? Mezz'ora prima arriva la carrozzina, il corredo, poi arriva il bambino. Perché abbiamo sempre il fax diretto! Fede, amore, preghiera e Provvidenza.

Senza un qualunque genere di spiritualità, l'uomo è destinato ad essere inquieto, incompleto, tutto sommato triste, mezzo vuoto. Io credo che felicità e spiritualità siano due concetti collegati in maniera primordiale. Cioè, l'uomo ha iniziato ad essere infelice quando ha iniziato a farsi delle domande. O meglio, all'interno del processo evolutivo che ha portato fino a noi, ci sarà stato quell'ultimo essere antropomorfo che, dalla condizione di scimmia felice che viveva in armonia con tutto il resto, si è fatto una domanda in più, dando così origine alla specie umana.

Se avete letto la Bibbia, sapete che non esiste nessuna mela. La mela è il frutto usato nelle rappresentazioni artistico-pittoriche della storia di Adamo ed Eva. Si parla, invece, di "frutto raccolto dall'albero proibito".
È una metafora, tra le migliaia contenute dentro la Bibbia - la quale, naturalmente, va saputa leggere altrimenti si creano aberrazioni di fede come quella del creazionismo - che si riferisce alla prima volta che un essere antropomorfo, a cui poi si è dovuto dare un nome nuovo in quanto specie distinta, l'uomo, ha sviluppato la coscienza di sé. Ha desiderato di andare oltre quello che aveva, si è fatto una domanda in più (e ci sta pure che fosse stata femmina), e in qualche modo ha rotto l'armonia con il "paradiso terrestre" e con Dio, sinonimi di armonia e perfezione del tutto.

Questo non significa che all'improvviso l'uomo primitivo ha desiderato un aperitivo in discoteca al mare, ma che da un certo punto in poi, momento indicato nella Bibbia come quello in cui ha osato raccogliere il frutto dall'albero della conoscenza, ha sviluppato una morale, cioè la conoscenza del bene e del male. L'animale è puro, privo di morale, incapace di pensare il male, seguace solo del suo istinto. Un essere che non è più in grado di fare questo, non è più animale, non è più puro, è diventato una specie distinta, è l'uomo. Prima non c'era, poi ha iniziato ad essere.

E, insieme alla coscienza del sé, del senso etico e morale, l'uomo inizia a conoscere il pudore, si scopre nudo, si vergogna dei propri simili e inizia a coprirsi; poi scopre il senso di colpa, si nasconde dai suoi pensieri, interrompe la comunicazione con Dio, con quell'Amore e quell'Armonia superiore che prima governava su tutto. La natura non gli fornisce più tutto quello di cui ha bisogno (lavorerai con sudore) e l'uomo sarà ben cosciente dei dolori delle cose della vita. La terra, che prima produceva i propri frutti spontaneamente, ora deve essere lavorata. E così via. L'uomo inizia a provare ostilità nei confronti dei propri simili, e a temere il dolore e la morte.

L'essere umano, a differenza dell'ultimo essere antropomorfo, è una creatura dominata da bassi istinti in grado anche di elevarsi spiritualmente, e, per sua stessa natura, quindi, non può avere la felicità, l'armonia interiore degli animali, degli esseri inconsapevoli.

Solo attraverso Dio, cioè innalzandosi asceticamente nel tentativo di raggiungere un'intelligenza superiore fatta di amore e compassione, può ritrovarla.

Il "peccato originale" non è altro che la perdita di quell'amore lì, della purezza, dell'innocenza, della gioia di vivere, del rapporto armonioso con la natura e con gli altri esseri viventi, ovvero con Dio, col Tutto.

Non ci fermiamo dietro a dogmi beceri come "secondo i cattolici uno nasce e già deve chiedere scusa perché macchiato da qualcosa che ha fatto chissà chi prima di lui". Per favore, questi sono discorsi che lasciano il tempo che trovano.

Chi ha scritto la Bibbia non aveva certo gli strumenti per dire le cose come le diremmo oggi. Per non parlare del fatto che è stata tradotta e tramandata all'infinito da una lingua arcaica, e questo filtra e toglie per forza qualcosa ai concetti autentici originali, un po' come accade per il gioco del telefono senza fili che facevamo da bambini.

Alcune di queste cose sono parafrasate ne La Bibbia per Ragazzi, testo pubblicato online a questo link, con tanto di approvazione ecclesiastica, registrato poi anche in audiolibro da Gli Ascoltalibri, narrato da Silvia Cecchini, e distribuito su Audible. Testo che ho trovato magnifico, utile, rivelatore, più accessibile a tutti, finalmente.
Più che per ragazzi, io lo chiamerei Riassunto della Bibbia per chiunque voglia capirla in parole semplici.

Detto questo, affidarsi, confidare in Dio, o a Chi Per Lui, sono concetti preziosi che si riferiscono a quell'atto di abbandono che facevamo da bambini in braccio alla mamma, il luogo più sicuro al mondo. Pensaci tu, io confido in te, so che non può succedermi niente di male finché sono qui, e anche se fosse non potrei farci niente. Sono solo un bambino. Sono solo un uomo.

Quando nella mente di una persona scatta questo, quando nella mia è scattato questo, ho ritrovato quel genere di conforto che avevo perduto, perché so che facciamo tutti parte di una condizione esistenziale nella quale l'esistenza stessa opera la Sua volontà, e tutto va come deve andare. Chiamiamolo Dio, chiamiamolo come vi pare, accettare questo significa tornare a vivere nell'umiltà della nostra condizione umana, tormentata dall'illusione di un controllo che in realtà non abbiamo.
E poco alla volta scatta l'armonia interiore, perché all’improvviso sembra che per ogni cosa ci sia una ragione. E, se da un lato ti senti parte del tutto, dall'altro ti senti amata, protetta, seguita sempre.

Ci sono due bambini, uno è da solo, l’altro è sempre in braccio alla mamma. A parità di catastrofi esterne, quale dei due si sentirà meglio?
Non ha importanza come andrà a finire, uno solo dei due saprà che, qualunque cosa accada, comunque sarà con la mamma. Non ha importanza l'esito dei fatti, la cosa che fa la differenza è come si sente il bambino in braccio, a differenza di quell'altro.

Ecco perché sostengo che un uomo senza un qualunque sano senso spirituale non possa vivere bene. Non possa conoscere la felicità vera, quella radicata, quella duratura. Soprattutto quando si tratta di un uomo dotato di intelligenza e consapevolezza di sé.

"Sean è come me, uno di quelli nati con l'inquietudine, con il folle desiderio di capire i meccanismi dell'universo. Nella piccola parrocchia della contea di Cork, dove viveva, non ha trovato risposte ai suoi interrogativi, così negli anni Ottanta, ha lasciato l'azienda agricola per andare in India e cercare la pace interiore nello yoga. Qualche anno dopo è tornato in Irlanda, e ha ripreso il lavoro al caseificio. Un giorno, era seduto nella cucina della sua vecchia casa di pietra con il padre - uomo di poche parole, contadino da tutta la vita - e gli raccontava le rivelazioni spirituali che aveva avuto in Oriente. Il padre ascoltava con scarso interesse, guardando il fuoco nel camino, e fumando la sua pipa. Non ha parlato finché Sean non ha detto: 'Papà, la meditazione è una cosa di un'importanza cruciale, t'insegna la serenità. Può veramente salvarti la vita. T'insegna a dare pace alla mente.'
Suo padre si è voltato a guardarlo e gli ha risposto gentilmente: 'Io ho già la mente in pace, figliolo'. Poi ha ripreso a guardare il fuoco.
Ma io no. E neanche Sean. E così molti altri. (...) Ho bisogno di imparare a fare quello che il padre di Sean sembra saper fare dalla nascita - stare cioè, come scriveva Walt Whitman, 'separato da ciò che attira e trascina... divertito, compiacente, compassionevole, inattivo, unitario... Dentro e fuori del gioco, osservandolo e meravigliandosi di tutto.'"
(Elizabeth Gilbert, Mangia, prega, ama - Una donna cerca la felicità, Rizzoli, 2010, p. 179-180)

Le volte che mi sono sentita sola, è perché non stavo ascoltando. La fede è un dono, ma è anche frutto di uno studio costante, e, si sa, io e la costanza non siamo proprio proprio amiche, ci facciamo una birretta ogni tanto, ma niente di più. Ma quando persino io, nella mia infinita imperfezione umana, riesco a darmi completamente a questi momenti di preghiera sentita, profonda, autentica, senza riserve, mi rigenero come una gola ferita sotto una cascata e mi perdo in quell'inspiegabile sconfinato immortale scorcio di perfezione dello spirito che mi fa chiudere gli occhi come sotto una carezza onnipotente, e mi dà riposo. Tutte le volte.
E il resto sparisce, nella sua insignificanza.

"La cosa interessante è che quando questi mistici descrivono le loro esperienze, finiscono tutti per parlare di uno stesso fenomeno. Generalmente, la loro unione con Dio avviene durante la meditazione, tramite una fonte di energia che riempie l'intero corpo di euforia, di luce, di elettricità. I giapponesi chiamano questa energia Ki, i buddhisti cinesi la chiamano Chi, i balinesi la chiamano Taksu, i cristiani la chiamano Spirito Santo."
(Elizabeth Gilbert, Mangia, prega, ama - Una donna cerca la felicità, Rizzoli, 2010, p. 166)

Attraverso la preghiera, attraverso i canti, e qui si fa spazio la mia Medjugorje, qualcosa di extrasensoriale entra dentro di noi, siamo travolti da un senso d'amore così grande che a volte scendono le lacrime e tu non sapevi nemmeno di poter provare una roba così. E conforto, pietà, coraggio, abbandono, gratitudine salgono invece, e in quel momento siamo immobili, ma in fermento, come in un moto di risucchio verso l'interno. In quel momento, siamo come il mare.

"Le richieste della fede sono dei veri e propri "salti", perché accettare la nozione di divinità significa spiccare un grande balzo dal razionale all'imperscrutabile. Se conoscessimo in anticipo le risposte sul senso della vita, sulla natura di Dio e sul destino delle nostre anime, credere non sarebbe un "salto", né un coraggioso gesto di umanità; sarebbe solo... una polizza assicurativa.
E a me il settore assicurativo non interessa. Sono stanca di essere una scettica, sono infastidita dalla prudenza spirituale e il dibattito empirico mi annoia a morte. Non potrebbe importarmene di meno di prove, dimostrazioni e garanzie. Voglio solo Dio. Voglio Dio dentro di me. Voglio che circoli liberamente nel mio sangue, come i raggi del sole penetrano nell'acqua."
(Elizabeth Gilbert, Mangia, prega, ama - Una donna cerca la felicità, Rizzoli, 2010, p. 203)

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