Da Cannes alla realtà: essere madri oggi

Al Festival di Cannes 2025, una delle tendenze più evidenti è stata una nuova rappresentazione della maternità.

Finora, il cinema ci aveva abituati a madri-simbolo: angeli del focolare, sante del sacrificio, donne infallibili e instancabili, dolci o isteriche ma pazienti, realizzate nella maternità, capaci di fare tutto e farlo con il sorriso, o anche borbottando, ma farlo.

Al massimo a ciabatte volanti, nei film italiani.

Modelli che non contemplano dubbi, fatica, ambivalenze.
E nemmeno l'eventualità che una donna possa non voler essere madre.

Il nuovo cinema rompe questi cliché. Prende l'immagine della madre, la frantuma, e la restituisce per quello che è: una persona. Complessa, imperfetta, reale.

Die, My Love di Lynne Ramsay, con Jennifer Lawrence, racconta una madre affetta da depressione post-partum. Il film, tratto dal romanzo di Ariana Harwicz, ha ricevuto sei minuti di standing ovation e venduto i diritti internazionali per 24 milioni di dollari.

Jeunes Mères, dei fratelli Dardenne, mostra giovani madri ai margini della società, senza sconti né romanticismi.

Così, ho iniziato a farmi delle domande.

Desiderio di maternità

Negli ultimi anni, il desiderio di maternità è cambiato, influenzato da fattori economici, sociali e culturali.

In Italia, secondo l'Istat, nel 2023 il tasso di fecondità è sceso a 1,2 figli per donna; rispetto al livello di sostituzione (2,1), necessario per mantenere costante la popolazione in assenza di flussi migratori, le cifre si sono invertite.

Contemporaneamente, cresce il numero di persone che scelgono consapevolmente di non avere figli. Il movimento childfree, nato negli Stati Uniti e oggi presente anche in Italia, rivendica il diritto a non essere genitori.

Diverso dal termine childless, che indica chi non ha figli per circostanza (non per scelta), childfree sottolinea la libertà di vivere senza obblighi genitoriali.

Tra le motivazioni: ricerca di autonomia, desiderio di carriera, riflessioni economiche, ambientali, sociali, personali.

Nonostante la crescente visibilità del movimento, le persone childfree affrontano ancora stigmatizzazioni e pressioni sociali; domande come A quando un figlio? o osservazioni sul "pentimento futuro" sono ancora frequenti ed evidenziano come la maternità sia spesso percepita come un passaggio obbligato nella vita di una donna.

Quello che è cambiato (e menomale) è che l'identità femminile, almeno, non gira più soltanto intorno alla maternità.

Infertilità e percorsi alternativi

Quelle domande lassù feriscono più di quanto si pensi.

Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità, l'infertilità, cioè l'impossibilità di concepire dopo 12 mesi di rapporti non protetti, riguarda circa il 15% delle coppie in età fertile.

Tra le cause: età, problemi ormonali, patologie ginecologiche, fattori ambientali.
E lo stress, ovviamente.

Per affrontare l'infertilità, molte coppie ricorrono alla Procreazione Medicalmente Assistita (PMA), che comprende tecniche come l'inseminazione intrauterina (IUI), la fecondazione in vitro (FIVET) e – cito – la microiniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo (ICSI).

Un'altra opzione è l'adozione, ma l'iter adottivo in Italia è complesso e può richiedere anni di attese, e prevede una serie di requisiti e procedure al limite della ridicolaggine, sia per l'adozione nazionale che per quella internazionale.

La cosa trova il culmine in quello che riguarda le coppie omosessuali, ma non solo, come raccontato da vari servizi delle Iene per esempio (l'ultimo al momento in cui scrivo del 27 maggio 2025).

Infine, cresce il numero di donne che scelgono di diventare madri single, sia attraverso la PMA che tramite adozione.

Queste scelte, sebbene ancora oggetto di dibattito sociale, riflettono una crescente diversificazione dei modelli familiari e una maggiore autonomia delle donne nel decidere il proprio percorso di maternità.

Intanto, la maternità surrogata in Italia è vietata. La legge 40/2004 prevede fino a due anni di carcere e multe fino a un milione di euro. Dal 2024 il reato si estende anche a chi ricorre alla gestazione per altri all'estero.

Un reato universale, insomma.

La misura ha diviso l'opinione pubblica. C'è chi la considera una tutela della dignità femminile, e chi, tra opposizioni e attivisti per i diritti civili, parla di "obbrobrio giuridico" e "caccia alle streghe", che penalizza anche chi si è rivolto a paesi dove la GPA è legale (come Canada e USA).

E poi c'è un'altra questione: l'accesso alla PMA in Italia è riservato solo a coppie eterosessuali, sposate o conviventi, in età fertile.

Esclusi single e coppie omosessuali (salvo rare eccezioni).

Risultato? Molti partono per l'estero.

E si sollevano interrogativi sulla libertà di scelta e sull'accesso equo alla genitorialità.

Maternità e carriera professionale

Un altro problema è la conciliazione tra maternità e carriera professionale.

Secondo il Rapporto Plus 2023 dell'INAPP, quasi il 40% delle donne tra i 18 e i 49 anni senza figli vede nella maternità un ostacolo per lavorare. Tra le giovanissime (18-24 anni) la percentuale sfiora il 50%.

E tra chi ha già un figlio, il 30,5% pensa che un'altra gravidanza limiterebbe le opportunità lavorative.

Il gap occupazionale tra madri e padri è enorme: il rapporto Le Equilibriste 2024 di Save the Children ci dice che lavora il 91,6% degli uomini con almeno due figli, contro appena il 57,8% delle donne.

Le dimissioni volontarie post-maternità sono anch'esse un fenomeno rilevante: nel 2022, su più di 60.000 dimissioni convalidate per genitori con figli da zero a tre anni, il 72,8% riguardava madri.

Perché le assenze in casa bruciano.
(Di entrambi i genitori.)

Inoltre, uno studio recente ha evidenziato come le donne siano significativamente più coinvolte nella pianificazione delle attività domestiche – perché la maternità non si esaurisce nel rapporto tra madre e figlio, ma si estende alla dinamica familiare – e nella gestione emotiva della famiglia, con un impatto negativo sul loro benessere psicologico e realizzazione lavorativa.

Essere madri: ieri e oggi

Una volta la figura materna era vissuta come una necessità: la mortalità infantile era elevata e il ruolo della madre era focalizzato sulla sopravvivenza dei bambini, considerati una risorsa economica per la famiglia.

Con l'avvento del fascismo, la maternità è divenuta un elemento centrale della politica demografica. Nel 1925 fu istituita l'Opera Nazionale Maternità e Infanzia (ONMI), un ente pubblico finalizzato all'assistenza sociale della maternità e dell'infanzia che promuoveva la natalità attraverso programmi di assistenza e propaganda, mirando a rafforzare la popolazione italiana.

Il secondo dopoguerra ha segnato poi un cambiamento significativo: nel 1950, la legge 860 introdusse tutele per le lavoratrici madri, e nel 1971 la legge 1204 ampliò i diritti legati alla maternità, prevedendo congedi e protezioni sul lavoro. Nel 1975, la riforma del diritto di famiglia sancì la parità tra coniugi, riconoscendo il ruolo attivo della madre nella gestione familiare.

Noi, generazione della classe anni '80-'90, siamo cresciuti con madri che hanno fatto della dedizione una scelta totalizzante. Molte hanno rinunciato alla carriera per permettere a noi di studiare, crescere meglio, aspirare a qualcosa di più.

Ecco: secondo me, tutto questo ha dato vita a una nuova generazione di madri più istruite e consapevoli, ma anche più esposte a pressioni sociali e sensi di colpa legati alla conciliazione tra lavoro e famiglia. (Noi.)

Oggi forse le madri si dividono (e si sommano) tra: le apprendenti, che sbagliano e imparano ogni giorno insieme ai figli, le pane e amore, convinte che bastino affetto e presenza e gliele fanno passare tutte, le iperinformate, col manuale Montessori sotto il cuscino, le creative, che inventano il loro modo stravagante disobbedendo a tutti, e le stanche, che si interrogano sul proprio ruolo e cercano un equilibrio...

Tu che tipo di madre sei? Chiedo alle mie amiche.

Sei più leonessa protettiva che insegna ai cuccioli a sopravvivere, o più canguro che porta il piccolo nel marsupio finché non è pronto (cioè mai)? Sei più aquila che spinge il piccolo a volare facendolo cadere per imparare, o sei più da situazione cavalluccio marino, col maschio che porta avanti tutto, gravidanze comprese? 🙂

Probabilmente, ce n'è una che ci accomuna tutte: la madre orsa.
Fai del male ai miei piccoli e te ne pentirai.

Ed è questo che adoro delle madri.
Che, in caso contrario, non lo sono né mai lo saranno, nemmeno dopo quindici figli.

Il peso dell'inadeguatezza

Il sentimento di inadeguatezza è una realtà diffusa tra le madri contemporanee.

Spesso alimentato da pressioni sociali, culturali, personali. Non a caso, mettendo tutto insieme, tra realizzazione, precarietà e aspettative, non si fanno più figli prima dei quarant'anni.

Secondo uno studio pubblicato su Frontiers in Communication, molte madri sperimentano disagio psicologico e percezioni di inadeguatezza derivanti dalle norme interiorizzate della "buona madre", influenzate anche dalle comunicazioni ricevute da familiari, amici e professionisti sanitari.

La mancanza di supporto adeguato durante il periodo post-partum contribuisce a questo senso di inadeguatezza. Molte donne si trovano ad affrontare la maternità con aspettative irrealistiche e senza una rete di sostegno efficace, aumentando il rischio di disagio psicologico.

Ed è questo che forse il cinema si sta impegnando a raccontare.

La depressione post-partum è una delle manifestazioni più gravi di questo disagio. Secondo l'Istituto Superiore di Sanità, circa il 10-15% delle madri italiane ne è colpito, con sintomi che includono tristezza persistente, ansia, irritabilità e difficoltà nel legame con il neonato.

Famiglie non tradizionali

E arriviamo alle famiglie dette "non tradizionali".
(Rispetto a cosa, esattamente, non è chiaro. Un ideale, forse.)

Nel 2024, più di un terzo delle famiglie italiane non segue più il modello "cattolico", un netto salto rispetto al 20% del 2002.

E uso il termine cattolico (non cristiano) non a caso.

I nuclei monogenitoriali, in gran parte madri sole, sono passati da 2,6 a 3,8 milioni in dieci anni (+44%).

Il lavoro: all'83% al Nord, ma sotto il 46% al Sud.
Il rischio povertà: al 32,1% per le madri single, rispetto al 21,2% delle coppie con figli.

Crescono anche le coppie conviventi non sposate, oggi il 30,9% dei nuclei.

Sempre secondo l'Istat:

  • le famiglie di fatto (2023–2024) sono oltre 26,3 milioni, +4 milioni rispetto agli anni '90.
  • La dimensione media è scesa da 2,6 a 2,2 componenti.
  • Le famiglie unipersonali (cioè persone sole) sono il 36,2%, mentre le coppie con figli solo il 28,2%.

Queste famiglie, tutte, si scontrano ancora con barriere normative e culturali.

Le coppie omogenitoriali fanno fatica a far riconoscere legalmente il secondo genitore.

Le madri single trovano limitazioni all'accesso di alcuni aiuti o servizi.

Ostacoli, ostacoli, ostacoli.

E sulle famiglie arcobaleno (in cui almeno uno dei genitori è parte della comunità LGBTQ+) non approfondiamo. Altrimenti gli articoli da scrivere diventano tre.

Ma tutto questo mi serve per arrivare alla conclusione.

Adozione da parte di single in Italia

Fino al 2025, in Italia i single potevano adottare solo in casi eccezionali, come previsto dall'art. 44 della legge n. 184/1983.

Il 21 marzo 2025, la Corte Costituzionale ha cambiato le carte in tavola con la sentenza n. 33/2025: ha dichiarato incostituzionale l'art. 29-bis, comma 1, nella parte in cui escludeva i non coniugati dall'adozione internazionale.

Adesso anche i single possono adottare all'estero, purché siano in grado di garantire al minore un ambiente stabile e affettivamente sicuro, con casa, reddito, capacità educativa e, soprattutto, un legame sincero e duraturo.

Per quanto riguarda l'adozione nazionale, questa resta riservata quasi esclusivamente a coppie sposate da almeno tre anni. Fanno eccezione solo alcuni casi particolari, come l'adozione di un parente entro il sesto grado o di un minore con disabilità.

L'attrice Sarah Maestri ha adottato una bimba bielorussa, raccontandolo ne La bambina dei fiori di carta.

Luca Trapanese, papà single e omosessuale, ha adottato Alba, una bimba con sindrome di Down rifiutata da molte coppie. (Nata per te è diventata anche una serie).

E poi c'è chi sceglie l'affido, una forma di genitorialità ancora più coraggiosa, perché – qui lo dico e qui lo nego – io non so se ce la farei a crescere un bambino sapendo che, da un momento all'altro, "possono venire a riprenderselo".

Personalmente, ho letto Io mi fido di te. Storia dei miei figli nati dal cuore (Mondadori, 2021) di Luciana Littizzetto e Volevo una mamma bionda. Storia di un'adozione miracolosa (Piemme, 2021) di Susanna Petruni.

Due libri bellissimi. Ma mi è bastato. Mi è venuto un gran nervoso.
Poter dare amore a un bambino non dovrebbe essere tanto difficile e complicato.

E, prima di chiudere, ribadiamo pure questa banale verità:
i figli non sono di chi li fa. Sono di chi li cresce.

Facciamolo entrare in testa anche a chi le banalità non le capisce.

E poi ci sono le zie. (Tipo me.)

Ci siamo arrivati, alla conclusione.

Essere madri è qualcosa che viene da dentro.
È un gioco d'azzardo, un vero atto di incoscienza, ma il più bello che esista, probabilmente.

Io credo che siano madri anche quelle donne che, per i motivi più disparati, non hanno potuto avere figli. Se se lo sentono dentro.

Non è che uno è pianista solo davanti alla tastiera.

Tra me e i bambini c'è sempre stato un feeling naturale, un amore spropositato, e, in genere, dichiarato apertamente da entrambe le parti dopo poco.

Forse perché sono una di loro.
In fondo, io non sono mai cresciuta, secondo me.
O forse sono solo una madre senza un bambino.

Tuttavia, eccezioni a parte, i bimbi crescono.
Capito? Poi crescono. Primo problema.

Il primo errore è proprio questo: dire "Voglio un bambino."
Se imparassimo a chiamarlo figlio, non banalmente bambino – che è solo una condizione temporanea – forse, intanto, gli daremmo un peso diverso.

Una volta, in un film (credo la trasposizione cinematografica di Mangia, Prega, Ama), ho sentito una frase che non ho dimenticato:

"Decidere di fare un figlio è come decidere di farsi un tatuaggio in faccia. Ci devi pensare bene."

Ecco.

Secondo: come si fa ad essere genitori quando si è ancora... irrimediabilmente figli?

Non solo irrisolti fino a prova contraria, ma incapaci di identificarci con l'idea stessa di madre o padre, quella che in genere coincide con l'immagine dei nostri genitori.

Perché, anche se abbiamo quarant'anni, siamo usciti dall'adolescenza l'altro ieri. E a fatica.
Dobbiamo ripassarci col figlio?
Mica, eh!

(Per non parlare delle bambine che fanno bambini, perché obbligate, o per la scelta inconsapevole di voler colmare chissà quale altro genere di vuoto. Ma questo è un altro discorso ancora.)

E allora, si diventa zie.

Tutti i bambini degli altri a me, per vocazione, e io a loro, in tutto e per tutto.
Ma poi ognuno a casa sua.
Le responsabilità alle madri vere.

Tipo dargli o non dargli il telefonino a 9 anni, che gli fai del male in entrambi i casi.
Auguri, amiche. Avete tutta la mia solidarietà.

In questo modo, loro – i bambini – prendono solo il meglio di te.
E tu di loro.

Il resto si lascia a chi accetta il gioco.

Ma una cosa ci tengo a dirla, a prescindere da scelte, gabbie e contesti vari: se siete madri di bambini che devono essere spettatori delle vostre malattie mentali e ci devono crescere dentro, se davanti a loro non volete privarvi della vostra sessualità e addirittura non temete di coinvolgerli perché "non c'è niente di male, devono imparare" e altre ca**te varie, siete pericolosi esseri da rinchiudere, che portano avanti forme di violenza silenziose che li danneggeranno gravemente.

I bambini si fidano: non hanno bisogno di essere posseduti, ma solo amati, guidati.

E ciò che è adulto non dovrebbe mescolarsi con ciò che non lo è, che per definizione si trova nella fase iniziale del suo sviluppo e non ha gli strumenti per gestire quello che voi come adulti ci avete messo anni a imparare a gestire.

Nel libro di Salomone, la vera madre per salvare il figlio implora che sia dato all'altra donna piuttosto che fargli del male.

Questo è una madre per me.
(E io sono stata fortunata in questo senso.)

Dove voglio arrivare con tutto ciò?

Ci viene chiesto di essere genitori in un tempo che ci ha reso eterni adolescenti, affettivamente dubbi, professionalmente instabili e psicologicamente sovraccarichi.

Questo è un fatto. Tutta la manfrina sopra a dimostrarlo.

Ma essere genitori resta, da qualunque punto la guardi, una responsabilità, e come tale "importa e sottintende l'accettazione di ogni conseguenza".

Piuttosto, non li fate, i figli.
Ma se li fate (o li adottate o ...), regalategli e regalatevi una famiglia, ok, ma proteggeteli con tutta la testa, l'anima e tutto il cuore che avete, anche da voi stessi, se necessario.

Quello non è "sacrificio".
È amore. Dovrebbe venire spontaneo.
Dal lat. spontanĕus, der. di sponte 'di propria volontà', ablativo di spons spontis 'libera volontà'.

Ecco che cosa, secondo me, dovrebbe essere una madre.
Proprio questo.

Libera…
...volontà.

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