15) Servo delle mie brame

"Un giorno chiederò agli specchi cos'hanno concluso, dopo tanto riflettere."
(bon1z, Twitter)

- 156.

Si dice che bisogna amarsi così come siamo.
Vero, sacrosanto. Infatti, il punto è che io non sono così, io sono diventata così, come sono adesso. Son due cose diverse.
Per questo non mi amo così, per questo desidero tornare all'essenza, al principio, alla verità. A me stessa.
Grazie a Dio, sono una persona amata, e questo ci rende belli a prescindere, di quel genere di bellezza che non ha niente a che vedere con l'estetica, quel genere di bellezza che ci rende liberi di essere quello che siamo.

Ma c'è dell'altro.

Parafrasando Henri de Régnier, quando ci guardiamo allo specchio, non lo facciamo per vedere come siamo, ma per vedere come ci vedranno gli altri.
Quando ho realizzato questo, ho pensato che, in effetti, se vivessi su un'isola deserta, probabilmente mi strafogherei di cibo come una pattumiera tutti i giorni della mia vita in attesa di morire giovane. Ma felice. Perché mangiare è bello, chiuso il discorso.

Ma poi ho analizzato meglio la questione, e ho capito una cosa. Se da un lato l'opinione degli altri ci condiziona, dall'altro il peggior giudice di noi stessi siamo noi stessi, quando dentro ci sentiamo farfalle e fuori siamo come elefanti.
Per quanto ami gli elefanti, a meno di non iniziare a chiamarmi Dumbo, non posso volare come desidero, non posso esprimere la mia leggerezza.
Perciò, ecco qua. La dieta che sto facendo, desidero mi riporti a una condizione di autenticità, perché l'immagine di me che ho fuori non restituisce quella che di me ho dentro. Tutto qui.
È una questione di rispetto verso me stessa, è una carezza che mi faccio.
Ed è un sacrificio temporaneo, la dieta non dura per sempre. Nel frattempo, succede che:
- lo stomaco si restringe (= diminuisce la fame);
- scompaiono gradatamente gastrite, colite, disagi vari (= si sta meglio);
- e quando finisce la cura si può tornare a mangiare liberamente, nelle giuste quantità, reintroducendo poco alla volta anche le intolleranze, e riscoprendo il vero piacere di quell'arte goduriosa e raffinata che è la gastronomia. Senza sensi di colpa.
Questo è impagabile, cioè, è un regalo, una sorpresa: una cosa che ci piace da morire che, una volta che ci siamo disintossicati, se non è più abituale, non può far male. E non fa ingrassare. È solo buona. La puoi mangiare, è lì, per te, è tua, puoi. Senza conseguenze. =,}

C'è una cosa che non ho ancora detto.
Sono tornata dal mio dottore bravo, perché mi piace far le cose per bene. Questa volta facciamola durare, mi ha detto. Si riferiva al mantenimento di fine dieta, e mi ha preceduto.
Mi ha chiarito alcuni concetti, come che la legge sulle intolleranze è tutto e niente. A partire da una base di problematiche presenti nel nostro organismo, ci sono alimenti che, finché queste problematiche esistono, le favoriscono e le aggravano; viceversa, finché le favoriscono e le aggravano, esse persistono. Essendo problematiche individuali, gli alimenti dannosi cambiano da persona a persona. Ecco perché il principio della dieta è quello di ripristinare la normale reattività metabolica escludendo quegli alimenti in particolare per un periodo sufficiente a cancellarne la memoria dal sistema immunitario; questo favorirà lo scomparire delle suddette problematiche e, di conseguenza, la libertà di reintrodurre in seguito di nuovo anche quegli alimenti.
In sostanza, l'intolleranza non è una non tolleranza in senso assoluto, ma in senso relativo a una certa condizione di partenza circoscritta a sua volta, spesso, solo a un momento della nostra vita.
Ecco perché si dice che le intolleranze cambiano.

Naturalmente, il vero scopo di un medico competente è quello di farti arrivare a un peso che non rappresenti un fattore di rischio per la salute, e di mantenere il risultato acquisito nel tempo, possibilmente senza fatica. Questo significa anche insegnarti a mangiare, e a eliminare tutti i possibili errori che si possono commettere a livello alimentare, come ad esempio il cibo come gratificazione, per la fretta prendere la prima cosa a disposizione, mangiare una rimanenza per non buttarla via, ecc.

Abbiamo iniziato ad aggiungere le quantità alla mia dieta, ora che posso reggerle perché mi si è ristretto lo stomaco. Volevo aspettare di poterlo sostenere, prima di costringermi al monitoraggio di un esperto.
Non voglio far danno, a questo punto, né a me, né a chiunque legga quello che scrivo - che, in ogni caso, tratta e rimane della mia personale e individuale esperienza.
Il "fai fa te", oltre un certo limite, non si fa.

Il primo giorno di dieta con le quantità, sono andata a letto turbata dalla violenza della privazione subìta, e con un mal di testa di fondo che non mi ha fatto dormire tutta la notte.
Il giorno dopo, però, a parte il sonno, stavo talmente bene di stomaco che mi sembrava di volare.
(La dieta dissociata, a prescindere dalle quantità, evita le fermentazioni, favorisce il metabolismo e accelera la digestione.)
Al che, mi sono fatta un'idea.
Lo sconforto, la fatica, il malessere (astinenza, debolezza...) ci fanno credere che non sia per noi, sono una tentazione violenta ad arrendersi, a pensare che, anche se ce la facciamo, non appena non saremo più monitorati torneremo lì ad abbuffarci come prima perché è così che siamo fatti. Invece, la natura è perfetta. E, dal momento che siamo fatti per abituarci a tutto, la verità è che questi sintomi sono provvisori e sono indici del fatto che stiamo cambiando qualcosa veramente.
Questo lo dico io, non il medico. Provato sulla mia pelle di drogata.
(di cibo)

Invece, il medico mi ha detto una cosa che mi ha fatto riflettere. Gli ho chiesto se avrei dovuto accompagnare il tutto all'attività fisica. Ovvero - lui non lo sa, lo sapete voi - continuare con il mio Roulantton ; ) così da non stare a pesare il cibo. Mi ha risposto che l'attività fisica va sempre bene, ma non tanto per dimagrire, quanto per stare bene. In particolare, il contatto con la natura ha degli effetti benefici particolari. Quindi ho concluso che 1) sto facendo l'attività fisica sbagliata, perché sono sempre al chiuso; 2) che la sto facendo per i motivi sbagliati.

"Ne Il mondo a piedi, ho accennato a quella condizione seduta e immobile che oggi caratterizza l'umanità, e al fatto che molti dei nostri contemporanei passino ormai direttamente dal letto alla macchina e dalla macchina all'ufficio, prima di tornare, una volta scesa la sera, a sedersi davanti alla televisione. Il corpo è percepito come superfluo, accessorio, ingombrante (Le Breton, 2011), ma ci richiama all'ordine con la sensazione di malessere che deriva dall'averlo messo così tra parentesi. Poiché la condizione umana è una condizione corporea, è necessario compensare con un esercizio fisico regolare, correndo o camminando instancabilmente sui tapis roulant, mentre si ascolta la stessa musica che si sente in macchina o negli spostamenti urbani, o guardando la televisione in maniera opportunamente posizionata. Una simile attività non è altro che un'esorcizzazione del cammino e una maniera utilitaristica di prodigarsi senza doversi confrontare con il rischio dell'incontro o della scoperta di paesaggi bellissimi. In palestra o a casa propria, al riparo da ogni sorpresa, l'individuo adempie dunque a una pratica igienica, assicurandosi che le sue abitudini sedentarie non vengano intaccate. Girando in tondo nella sua boccia di vetro, evita la paura del fiume."
(David Le Breton, Camminare. Elogio dei sentieri e della lentezza, 2012)

-.-

Continuo a confidare nell'estate, nel sole, e nel tempo che avrò in ferie. Ormai ci siamo. Anche se sono stanca di dover sempre aspettare l'estate per fare tutto. Voglio andarmene, voglio riprendermi tutto, il mio tempo, il mio corpo, la mia mente, voglio aggiustare la mensola rotta sulla mia parete e voglio aggiustarmi l'anima. E tutto il resto delle cose che se ne stanno tra l'una e l'altra cosa.

Forse, il primo passo per non sentirsi impacciati e goffi nella vita in generale è vestirsi di panni propri, di non indossarne altri indotti, di non essere schiavi di abiti sociali e di vizi che ci diano l'illusione di compensare la libertà che ci manca.
Voglio dire, chi se ne frega se siamo due taglie in più (o in meno) se siamo felici e in salute, ma non ha senso andare a raccontare in giro che ci sentiamo liberi perché "non faccio diete, mi piaccio così" se poi l'unica cosa a cui riusciamo a pensare è il cibo.
Questa è illusione, non è libertà.

La mia immagine sociale, che comprende il rapporto che ho con l'esterno (persone, lavoro, ambiente) e con l'esteriore (...delle mie brame), è quella sbagliata. Questo è tutto.
Sono qui a correggerla, sono qui a spogliarmi di ciò che non mi appartiene e farla aderire sempre di più alla mia immagine personale. Sono qui a tentare di chiudere il cerchio più grande di tutti. Per ogni grammo di peso corporeo che si avvicina al mio peso della salute, un grammo della mia anima appare. Voglio arrivare a far coincidere il fuori col dentro, e poi il personale con il sociale.

So che la vera impresa degna di tale nome sarebbe essere Dumbo. Quello sì che sarebbe un merito.
Ma la verità è che Dumbo si accontenta di un pugno di noccioline per vivere, ed essere felice.
Io... beh, no.

C'è un'ultima cosa che mi preme sottolineare: come noto, l'occhio non può vedere sé stesso; per tanto, quando parliamo della nostra immagine, ci basiamo sempre sulla restituzione artificiale, e quindi interpretata, in maniera più o meno fedele, della verità. Da parte di uno strumento riflettente che è altro da noi.
Esistono tanti tipi di specchi, fatti di vetro, fatti d'acqua, persino fatti di carne e ossa.

Scegliamo quelli giusti.

 

Persi 5 kg. Prima medaglia d'oro.

Traccia il mio picco, in corso 5.9 kg.

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