14) Il Principe delle Maree (2nda parte)

"Originality is undetected plagiarism."
(William Ralph Inge)

- 163.

Quarto piano senza ascensore con i bagagli. Salgo le scale, arrivo al limite del fiato. Penso che dovrei smettere di fumare, accidenti. Appartamento 43. Giro la maniglia della porta ed entro. Passo a fatica per il corridoio, con la giacca in mano e i bagagli appresso. Urto qualcosa sulla mensola dell'ingresso, che cade sul pavimento e si rompe. Dal rumore doveva essere di porcellana.

"Merda."

Guardo per capire cos'era quando mi sento minacciare alle spalle:

"Muovi il culo di un solo centimetro, figlio di puttana, e potrai dirgli addio!"

Mi volto con ancora tutto in mano e, per la miseria, tiro un sospiro di sollievo. Mi formicola anche il culo, ma sono preso dall'euforia:

"Oh, ciao Eddie! Dài, spara, tanto ho avuto una giornata di merda."

"Tom! Avresti dovuto dirmi che saresti venuto!"

"La pistola, Eddie, la pistola!"

"Ah, scusami! Savannah e io siamo stati rapinati già due volte quest'anno."

Fa lui, abbassandola.

"Adesso entrano anche dalla scala antincendio! Uno ha tirato su il mio condizionatore! E ho anche unto i davanzali, ma non è servito a niente."

"Oh, adoro New York."

"Ah, raccontalo a me."

Superato il corto corridoio mi affaccio direttamente al soggiorno, occupato dal salotto e da Eddie, che sparisce un istante nella stanza accanto insieme alla sua semi-automatica.

"Come sta Andrey?"

Chiedo mentre riesco a liberarmi le mani, finalmente. La giacca sulla poltrona, i bagagli a terra. Faccio per passarmi il dorso del polso sulla fronte.

"Se n'è andato. Ha detto che aveva bisogno di spazio e si è trovato uno più giovane con una bifamiliare."

Le mani in fianco, mi guardo intorno. La casa è familiare, piccola, ma illuminata da almeno una finestra per parete. Alla mia sinistra, il solito angolo cottura e il banco da lavoro della cucina.

"È lui che ci perde, Eddie!"

"Che Dio ti benedica. Savannah era un angelo, io praticamente ho vissuto qui."

"Così ora sei solo, eh?"

Incorniciati in una foto su una mensola della parete lui e mia sorella Savannah insieme. La prendo in mano.

"Beh, a meno che non riesca a convincerti a passare dall'altra parte finché sei qui, coach!"

Mi provoca mentre trasporta una piantina dalla camera spenta sotto la finestra illuminata della cucina.

"Ho già abbastanza guai, Eddie!"

Rispondo, ridendo. Ripongo la foto dove stava.
Mi volto, Eddie si dà una leggera sfregata alle mani.

"A dire la verità, hai un aspetto orribile, Tom. Insomma, non sei neanche più carino!"

Se ne esce sedendosi con una punta del sedere sul tavolo del salotto e incastrando il collo di un piede nella piega del ginocchio dell'altra gamba.

"Ah! Se questo è il tuo modo di sedurre non mi meraviglia che tu sia solo."

Do un'occhiata fugace ai titoli dei libri sulle altre mensole.

"Beh, non è facile."

"Sapevi che Savannah stava andando dallo psichiatra di nuovo?"

"Ma certo. L'ho raccomandata io, è una mia amica."

Mi risponde, stringendosi nelle spalle e inclinando la testa di lato.
Vado per sedermi sul divano e cercare di saperne di più su questa "dottoressa" di mia sorella, e scorgo una macchia sbiadita di sangue sulla moquette.

"È stato un bel casino pulirlo."

"L'hai trovata tu?"

Chiedo, mortificato per lei.
Annuisce in silenzio, senza alzare lo sguardo.

Ho scelto questo piccolo estratto tra la ventina di pagine che sono riuscita a scrivere questa settimana. Eravamo rimasti alla riscrittura di un film, no? In particolare del Principe delle Maree. Le parti citate sono dialoghi fedeli al film, il resto è mio. Ho scritto, in totale, giusto 25 minuti di film. Non che abbia avuto più tempo, ma sono sufficienti, credo. Sono arrivata a delle conclusioni.
In realtà, adesso sono piena di domande.
Per esempio, gli attori fanno gesti perché sono scritti o fanno molto più di quello che c'è scritto nel copione? E i doppiatori devono fare anche i suoni dei movimenti del corpo? (Es. batte una mano sui jeans mentre gesticola)

Gli attori si prendono il loro tempo per recitare le battute. Le fanno precedere da un pensiero, a volte anche lungo. E, secondo me, non sorridono pensando che devono sorridere; pensano a qualcosa che li fa sorridere e il sorriso viene di conseguenza. Voglio dire, senza che se ne accorgano.
E non si soffermano solo sui dialoghi a dire "quello che bisogna dire": gesti come infilare una mano in tasca, o simili, sembrano importanti. Sembrano dare un significato rotondo alla scena.

Un romanzo scritto così è tutto visivo e, sì, magari rende l'idea. Ma è scarno, si tratta di uno stile questo più adatto a un testo drammaturgico, forse, o a un copione filmico.
Esercizio nell'esercizio: capire quali sono le parti da approfondire e in quale modo. Parti descrittive? Ma senza spezzare il ritmo.

Trovo comunque il dialogo la migliore metodologia di lavoro, insieme all'azione dei personaggi, per finire un libro senza che il lettore se ne accorga.
Ma questa è la stessa scuola dei giganteschi come King o la Rowling, dopotutto.

La scelta dei verbi e degli aggettivi: rileggendo e riscrivendo, l'ho trovata fondamentale. Ogni parola, ogni riferimento, ha il suo preciso significato. Vietato essere approssimativi. Fa schifo.
E questo mi fa pensare dunque che, quando si scrive, bisogna avere molto chiaro in testa cosa stanno dicendo i personaggi, perché, e come lo stanno dicendo. Cioè, vedere proprio tutta l'azione, intendo: cosa sta succedendo, esattamente. O tutto quanto risulterà uno scadente opaco pressapoco.
In pratica, bisogna vedere il film tratto dal libro ancor prima di scrivere il libro, mentre lo si sta scrivendo. Facile, no? -.-

I doppiatori cantano. Senza che tu te ne accorga. E imitano le movenze dell'attore non tralasciando i particolari. Gli leggono il corpo, e restituiscono con la voce anche un'alzata di sopracciglia, che tempo fa fuori.
Bisogna essere un po' psicologi per fare i doppiatori. Questa cosa mi fa impazzire di bellezza.

E, in ultimo, la punteggiatura.
Inganna. La punteggiatura la riscrivi tu, recitandola. Oserei dire che non esiste, va ignorata, la decidi tu, o, meglio, la decide l'attore originale. Tu sei al suo servizio. Come direbbe il nostro maestro, niente virtuosismi personali.

Questo esercizio è stato incredibilmente utile per:

  1. la scrittura. Imparare a non descrivere le emozioni, ma a farle vedere, attraverso movenze, gesti, azioni... (Mario non è triste, Mario "è sdraiato sul letto a fissare il soffitto della sua camera...");
  2. la recitazione. Capire come un attore dà vita a un dialogo, con gesti e azioni precise che vanno oltre le battute. Studiare la psicologia del personaggio.
  3. Il doppiaggio. Imparare a ridire. Con la stessa prosodia del primato nel mondo. Il nostro. Forse studiare quella prosodia a memoria può servire a farci l'orecchio, forse resta più o meno quella anche in cose che si possono riproporre in altri film. L'imitazione iniziale è alla base di ogni percorso di formazione.

O forse devo solo aspettare settembre, quando inizieremo recitazione, e stare zitta. Senza arrivare a conclusioni affrettate. E pazientare. Cosa che mi viene difficile, evidentemente.

La curiosità mostruosa di leggere una sceneggiatura originale americana, ora. Non di quelle banali scritte a posteriori che si trovano in giro. Interessante, su questo, la pagina Facebook Sceneggiatura da Schermo.

Quello che voglio fare, di sicuro, è un nuovo esercizio: partire dal dialogo originale inglese e dare la mia personale interpretazione di doppiaggio; registrarmi, confrontarmi con i professionisti, dopo, e capire cosa c'è di giusto e di sbagliato.

Chiudo con le osservazioni più importanti che cercherò di portarmi dietro in sala di incisione. Appunti di recitazione e doppiaggio:

  1. Il sottotesto delle battute. È tutto. Frase di esempio: "Perché non mi hai detto che stavi poco bene?" Suona diversa in base ai sottotesti, i significati nascosti dietro la frase:
    • Io non ti capisco. [oppure]
    • Mi hai fatto preoccupare!
  2. L'intensità della voce cambia a seconda della distanza dall'altro attore! Attenzione al volume.
  3. Importantissimi i respiri, e i versi di bocca, naso, gola...
  4. La velocità è veloce!
  5. La chiusura delle frasi, tranne quando c'è tensione o provocazione, sembra più naturale se scandita meno. (In fondo l'inglese ha le parole che finiscono più spesso per consonante...)
  6. Bella la modulazione della voce. Piano / forte / rauca / afona / piena... sono sicura che io non mi so esprimere perché certe cose non ce le hanno ancora spiegate e ogni cosa ha un nome appropriato che io sto sbagliando. Ma sono anche sicura che ci sia una scelta del suono di emissione. Lo sento, se chiudo gli occhi e apro le orecchie. Lo sento! Funziona anche questo di gioco, inverso ad azzerare l'audio e aprire gli occhi.

A quanto pare bisogna usare un senso alla volta per capire le cose. Deduco che i doppiatori, che fanno tutto insieme, hanno i superpoteri.

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