20) Un lavoro che amo

"L'attore è un bugiardo al quale si chiede la massima sincerità."
(Vittorio Gassman)

- 121.

Eccomi. Ecco un futuro ex informatico che durante il giorno a lavorare manda avanti un corpo disabitato mentre la mente si trova sui monologhi della sera. Sono un futuro ex informatico che ama scrivere e studia cinema e doppiaggio e ha ripreso con l'inizio del modulo di Recitazione in Accademia dopo la sua prolifica pausa estiva. E ha detto a tutti la verità, al suo ritorno. E adesso conta i giorni all'indietro. E manca poco meno di un mese alla libertà.

La nuova insegnante è eccezionale. Psicologa. Oltre che attrice, da una vita. Di quelle che parlano, e tu acquisisci il sapere, unito all'esperienza, unito alla passione. Praticamente un trionfo d'amore e di scambio in materia letteraria. Praticamente, la felicità.
Quando sarà finito questo modulo, a novembre, finalmente metteremo piede in sala di doppiaggio per la pratica con i Maestri, che durerà un anno, e contemporaneamente io inizierò la scuola di teatro. E potrò frequentare le lezioni quotidiane previste dalla scuola.
Ciò vuol dire che dal lunedì al sabato, per almeno un anno, l'anno sabbatico che mi sono guadagnata, starò facendo quello che amo, dalla mattina alla sera. E la domenica, finalmente, mi starò riposando.

Quand'è stata l'ultima volta che ho potuto dire quello che ho appena detto?

Oddio, boh, forse quando avevo cinque anni e tutto questo era normale e io non lo sapevo, prima di iniziare la scuola.
Quando ne hai sei e ti incastrano con la storia della prima elementare e ti ritrovi fuori dal giro che ne hai venticinque.
Quando poi arrivano i trenta, al volo, con la gavetta lavorativa che segue la laurea. Quando sei tutta ambizione.
Quando poi i trenta li passi, e gli anni smetti di contarli, professionista ormai affermata del mestiere, e ti sorprendi infelice, e malandata, in segreto.
Che, abituata al sacrificio e al senso del dovere, non hai tempo per sciocchezze come la felicità, che quella è una cosa secondaria, che vedrai che quando mi sistemo poi mi ci dedico. Alla felicità. Che adesso no. Non ci sta, non posso.

Che, in parte, sei rimasta bambina. Che allora le cose avevano un senso. Che poi... cos'è successo?

"Ringraziamo Iddio, noi attori, che abbiamo il privilegio di poter continuare i nostri giochi d'infanzia fino alla morte, che nel teatro si replica tutte le sere."
(Gigi Proietti)

Io voglio tornare a contarli di nuovo i miei anni. Ad avere candeline sulla torta tante quanti sono loro, che ogni candelina è un altro anno di benedizione e serenità, e tutte insieme fanno una gran bella portata di esperienza lì davanti.
E un'altra buona fetta di vita da mangiare.

Allora aspetta che lo ridico e mi riascolto: a novembre l'azienda sarà un ricordo. E potrò dal lunedì al sabato, per almeno un anno, fare quello che amo, dalla mattina alla sera, tutti i giorni della mia vita.

**piange**

Ma perché fermarsi a un anno?
Dopotutto, si tratta di cambiare lavoro, non di smettere di lavorare.

"Scegli un lavoro che ami, e non dovrai lavorare neppure un giorno in vita tua."

Povero Confucio! Conoscendomi, la cosa diventerebbe: scegli un lavoro che ami e non avrai mai lavorato così tanto in vita tua che nessuno riuscirà più a staccarti da lì manco quando muori.

Ma ho capito il concetto.
Il punto è che, se la vita e le forze me lo concederanno, farò valere una fortuna. Non importa ammalarsi per rendersi conto tutt'a un tratto dell'importanza che ha la salute, il nostro tempo qui. Non importa ammalarsi di un male incurabile per iniziare all'improvviso tutt'in una volta ad amare la vita, ad essere grati all'esistenza, perché non sai se ce la farai. E tutto allora assume un'aria diversa, quando cambiano le prospettive. Non importa arrivare a quello.

Sul modulo di recitazione, mi ricordo di aver pensato che avrei voluto chiedere all'insegnante una specie di bibliografia ragionata sul repertorio teatrale da studiare.
Lei sta facendo in un altro modo, considerato il poco tempo che abbiamo a disposizione prima della fine del modulo e la portata ambiziosa delle cose da sapere: ci ha messo insieme e portato dei brani tra i più svariati, da una poesia di Sylvia Plath al discorso di Robespierre alla Convenzione, da Proust al film Il Diavolo Veste Prada, da Shakespeare a Novelle da un minuto di Istvan Orkeny. Eccetera.

È bellissimo lavorare così, ma, per quanto riguarda il famoso repertorio teatrale, mi sa che dovrò studiarmi in privato un bel manuale di storia del teatro. Potrei usare i brani del libro sui monologhi che ho comprato per lo stage appena passato! Per ogni brano, studiare autore, periodo storico e genere letterario. Qualcosa imparerò, no? Sono 50. Andando per ordine.
Perché, a parte la bellezza dei brani, la cosa importante, soprattutto in questo caso per doppiare correttamente, è conoscere gli stili teatrali, ovvero i generi delle varie opere scritte in relazione a determinati periodi storici. Fosse anche solo per cogliere citazioni e suggerimenti dei maestri durante il lavoro in sala.

"Fallo più asciutto, monocorde, più Checov, meno Pinteresque. Però surreale. Non surreale alla Beckett, eh, surreale alla Sarah Kane, per capirci. Ma più in maschera."

-.-?

Cioè un misto tra Luna Lovegood e Mercoledì Addams?
Ché ognuno c'ha il repertorio suo.

In parole povere, è ovvio che non si può recitare allo stesso modo la tragedia greca e il teatro elisabettiano, o il teatro dialettale e le avanguardie storiche. Esattamente come un film ambientato nell'Ottocento e uno moderno, o contemporaneo.
La recitazione, doppiaggio incluso, deve essere diversa. Mentre lei deve essere sempre credibile, il modo in cui si restituisce lo stile deve essere sincronico e opportuno.

Le Serve di Jean Genet, il brano che ho portato allo stage, affascinante oggetto di studio di molti critici e considerato molto difficile da recitare (ho scoperto dopo il perché), appartiene in parte al genere del teatro dell'assurdo, che prevede tutta una serie di caratteristiche peculiari, come ad esempio "il deliberato abbandono di un costrutto drammaturgico razionale e il rifiuto del linguaggio logico-consequenziale" (cfr. wikipedia); e in parte a un operato generale dell'autore che sembra resistere a qualsiasi "tentativo teorico di cattura".

"[...] Si tratta di un susseguirsi di finzioni proiettate dal segreto dell'animo come verità fino a divenirlo veramente, ma senza alcuna credibilità realistica. Furtivo [il teatro], dunque, poiché rappresentante visioni, incubi, invenzioni di verità. I personaggi di Genet sono immersi in cerimonie sospese che procedono secondo un loro misterioso e mistico rituale; non sono immagini di personaggi reali ma piuttosto di personaggi riflettenti la parte più inconscia e celata dell'essere umano e dei suoi spazi interiori."
(Paola Appetito, Realtà e apparenza nel teatro di Jean Genet, 2010)

Se paragoniamo questo al teatro verista ottocentesco, vien da sé che. Così come, che so, il teatro contemporaneo di Dario Fo o il modello di cantastorie di epoca medievale.
Insomma, è come per la musica, quando canti una canzone, che l'emozione deve arrivare sempre, ma canterai diversamente se si tratta di jazz oppure invece di opera lirica.

Tutto questo significa che, sì, mi comprerò un manuale di storia del teatro, certamente. Come minimo. Ma, soprattutto, qui c'è da fare un grosso lavoro di studio sui generi teatrali e conseguenti stili recitativi.
E ho capito il messaggio subliminale e la scelta del materiale della nostra insegnante di recitazione.
Anche se penso che, per quanto il teatro e la cultura tu li possa leggere, niente può render meglio che prender su e andare a vederseli di persona.

Oppure godersi le fedeli trasposizioni cinematografiche, quelle interpretate da attori della portata di Al Pacino, Mel Gibson, Kenneth Branagh, Ian Holm, Glenn Close, Denzel Washington, Keanu Reeves, Laurence Fishburne, Kevin Kline, Michael Keaton, Emma Thompson, Michael Fassbender, Christian Bale, Rupert Everett, Michelle Pfeiffer, Stanley Tucci, Robert Sean Leonard, Helena Bonham Carter, Calista Flockhart, Marion Cotillard, ... che all'improvviso finalmente capisci Shakespeare, per la miseria.

O ancora di più, se è per questo, viverli sulla pelle come fanno loro, gli attori.

Ed ecco che il doppiaggio si spalanca su ulteriori orizzonti inattesi.
E io pelledoco ad ogni nuovo raggio che penetra le mie persiane.

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Una risposta a “20) Un lavoro che amo”

  1. “This is the real secret of life — to be completely engaged with what you are doing in the here and now. And instead of calling it work, realize it is play.”
    Alan W. Watts

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